D’estate mi rendi il desiderio e la speranza
tra la sventura del calcolo e la trama di luce che addensa
per farmi assaporare il silenzio tra corpo e spirito.
D’autunno mi rendi umano e profondo
come il poeta* che ti ha letto al contrario, senza descriverti.
D’inverno mi rendi l’urlo raggelante dell’intimità
e il senso nascosto di essa
che procede e resta senza forma e senza nome
come la nebbia nella valle,
illusione di ossa rotte che incidono la carne.
Di primavera mi rendi l’essenza del tuo significato
che fonda sopra colline fossili di terra polverosa
l’ordine cronologico della tua fascinazione.
Da questi riquadri di note malferme,
da notti brulicanti di topi volanti e lucciole,
dal tuo sgargiante mercato di colori e odori,
emerge l’impulso del tempo per tormentarmi.
I miei pensieri alitano sempre su di te
per provarmi che la terra che abito si compie in me
nell’orlo di sfumature che io imparo a vivere sui miei limiti
con l’umiltà di far evaporare i sogni
che la tua ombra animata compie.
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