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La Diga di Levane non è una minaccia per Firenze. A 45 anni dall’alluvione noi non stiamo dormendo”. Questa in sintesi la risposta del Sindaco Matteo Renzi alla provocatoria lettera aperta inviatagli da Luca Tognaccini direttore di “Firenze in Europa” e della quale riportiamo il testo integrale:
Ridurre la diga di Levane a poco più di una pescaia, al massimo ad un salto di poco superiore al fondo melmoso che si è innalzato negli anni a causa dei detriti. Ma impedire che possa ripetersi l’evento del ’66 quando il guardiano che ha la casa proprio sotto la diga all’esterno a destra di chi guarda dal ponte la apri per salvarsi, condannando una intera città Io ero fra quelli che con mamma la mattina dopo andavano a prendere l’acqua potabile dalle autobotti dell’esercito.
Io non so quanto renda all’Enel la diga di levane. So che gli abitanti di Levane, 6mila , la avvertono come un pericolo anche per loro. Che si potrebbe contrattare la posa in opera delle prossime centrali lungo il fiume con la chiusura di Levane. Che si potrebbe raddoppiare la centrale ecologica a metano di Cavriglia per ottenere quanto perso a Levane? Ma qualcosa va fatto.
Sindaco, Lei non può fare come le gestioni precedenti che hanno tirato a campare. Lei ama la nostra città. La prego, contratti la chiusura di Levane. Non è più uno scontro con lo Stato, Enel è privatizzata. Possibile che l’interesse pubblico non possa avere la meglio su quello privato? Non dico di tornare ai tempi in cui Firenze scapitozzava le torri avversarie. Compito di un moderno capoluogo è quello di creare reti trasparenti ed efficienti di comunicazione nel territorio circostante, confermando così la sua supremazia. Però garantire il proprio patrimonio culturale dall’alluvione quello sì, ce lo chiede il mondo. E se si organizzasse un referendum sulla questione? Per noi Fiorentini Levane è più pericolosa del nucleare. Se ci fosse un gruppo di leghisti con le palle che la facesse saltare la diga, io sarei contento. Ma anche in democrazia si può cambiare ciò che non va.
Firenze val bene una diga.
Luca Tognaccini
Ecco il testo integrale della risposta del Sindaco, tramite il Direttore Generale del Comune di Firenze, Giovanni Menduni.
Gentile Tognaccini,
ricevo dal Sindaco la sua nota per una risposta in linea tecnica. Ci provo, confidando nella sua pazienza.
Nel 1966, all’indomani dell'alluvione di Firenze, spuntarono come funghi, a fianco delle indagini di carattere giudiziario, tecnico e scientifico, decine e decine di ipotesi e parecchie leggende metropolitane sulle colpe di quella catastrofe. I due impianti aretini dell’ENEL, Levane e La Penna, assunsero immediatamente il ruolo dei grandi accusati.
L’immaginario collettivo era ancora profondamente impressionato dalla sciagura del Vajont (avvenuta soltanto tre anni prima) e fece presto ad ipotizzare un ulteriore “incidente tecnologico” in salsa toscana. L’idea, come lei stesso scrive nella sostanza del suo messaggio, fu che i tecnici, nel timore di un cedimento delle strutture, avessero svuotato gli invasi, in particolare quello di Levane, proprio nel momento peggiore del colmo di piena, decretando così la sentenza per la città di Firenze.
La Procura della Repubblica, all’indomani dell’alluvione, incaricò Giovanni Cocchi, direttore dell’Istituto di idraulica di Bologna, e gli ingegneri Alessandro Giani e Giorgio Hautmann di compiere una perizia sulle due dighe e sul loro funzionamento tra il 3 e il 4 novembre 1966. La relazione fu consegnata in tempi relativamente rapidi, prima che venisse celebrato il primo anniversario dell’alluvione. Per l’occasione furono peraltro utilizzate tecniche avanzatissime per i tempi, con simulazioni molto accurate, già utilizzando pienamente i pochi mezzi di calcolo elettronico allora disponibili.
Cocchi, persona seria, competente ed appassionata, è stato peraltro mio direttore quando ero giovane ricercatore universitario a Bologna. Più volte, sapendomi fiorentino, ha voluto discutere con me della vicenda, raccontandomene i dettagli. Le conclusioni della perizia stabilirono inequivocabilmente l’innocenza delle due opere e delle maestranze che le governarono in quella terribile notte. Esse non furono le responsabili della tragedia. Anzi la loro presenza avrebbe in qualche modo evitato che l'evento assumesse proporzioni maggiori di quelle raggiunte. Da una paziente analisi di decine di testimonianze e degli atti a disposizione, si appurò che furono effettivamente compiute alcune manovre tecnicamente “pasticciate” sugli scarichi e che, probabilmente, si tentò anche di nascondere questi fatti alterando i registri. Queste manovre, tuttavia, comportarono un ritardo nell’onda di piena che determinò, in fin dei conti, un effetto lievemente favorevole sull’evoluzione delle portate in città e sui livelli di inondazione.
L’effetto non poteva comunque essere particolarmente eclatante, nel bene come nel male. I conti, così per fissare le idee, si fanno rapidamente. L’invaso di Levane ha una capacità utile di più o meno 10 milioni di metri cubi. L’onda di piena che si abbatté su Firenze ne contò più o meno 500 dei quali una settantina, forse 80, esondarono in città. Dunque si tratta di quantità irrilevanti , anche considerando le scale temporali necessarie alle manovre e alla propagazione dell'onda verso Firenze che determinano un trasporto tuttaltro che istantaneo della massa contenuta nel serbatoio .
Queste tesi sono state ulteriormente vagliate da diversi studi molto approfonditi ripetuti nel tempo. Gli ultimi sono quelli necessari alla pianificazione di bacino, svolti tra il 1995 e il 2005. Sul caso "Arno" si sono peraltro cimentati alcuni tra i più brillanti tecnici e scienziati del tempo. Sulla responsabilità delle dighe, il responso (di non colpevolezza...) è sempre stato unanime e mai messo in discussione.
Eliminare l'invaso, peraltro, non solo avrebbe effetto negativo sulla produzione di energia rinnovabile ma sopratutto sul sostegno delle magre estive (come accade in quest'anno assai siccitoso) quando il sistema complessivo di Bilancino, Levane e La Penna è chiamato ad un super lavoro al limite delle proprie possibilità.
Le cause dell'alluvione vanno dunque cercate altrove. L'argomento è per me di grande interesse e credo anche di poterne parlare dicendo qualcosa di sensato. Sono a sua disposizione per discuterne quando crede. Altresì, se vuole scendere nei dettagli, dispongo anche dei testi originali (anche se non del tutto completi) della perizia Cocchi, con la risposta ai quesiti del Magistrato, oltreché di tantissimi ulteriori dati provenienti dalle fonti più disparate.
Sperando di essere stato esaustivo, la saluto Molto cordialmente.
GM
-Grazie, Direttore, per la paziente e gentile risposta. Posso pubblicarla sul sito web di Firenze in Europa "per educare il popolo"?
-Grazie a lei. Certamente sì, anche se l'intenzione di "educare il popolo"... mi pare un po' eccessiva!.
Con grande cordialità
Prof. Giovanni Menduni
Direttore generale
Comune di Firenze
Per i “quattro gatti” che non conoscessero il professor Menduni, ecco una breve scheda sintetica sul personaggio in questione: Giovanni Menduni, fiorentino, 56 anni, sposato con tre figli, laureato in ingegneria, ricercatore a Bologna e poi associato nel Politecnico di Milano dal 1987. Nel 2001 ha conseguito il titolo di professore ordinario.
Dal 2000 al 2008 è stato Segretario generale dell'Autorità di bacino dell'Arno, dove ha completato il Piano di bacino e avviato il programma delle opere per la sicurezza idraulica e idrogeologica.
Successivamente ha coperto il ruolo di Direttore generale dell'Ufficio rischi naturali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della Protezione civile.
È autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche e di libri scientifici e divulgativi. Ha tenuto lezioni e seminari su invito di Enti di ricerca, Istituzioni e Università italiane ed estere. Tra questi Princeton University, Massachusetts Institute of Technology, Warsaw University (SGGW), Scuola superiore della Pubblica amministrazione, Istituto Ambrosetti, Ministero dell’Ambiente, Ministero degli affari esteri, Parlamento Europeo.
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